martedì 26 novembre 2019

Miracoli della scienza: scoperta una 'cura' contro l'Alzheimer

scrivisullapaginadeituoisogni.blogspot.com - Miracoli della scienza
Spesso le scoperte fatte anche casualmente e rivolte a curare le malattie, possono sembrare distintamente miracoli della scienza. Fra questi c'è quello raccontato in prima pagina dai media televisivi e sui social, che mettono al centro dell'attenzione pubblica, una molecola capace di riprodurre nuovi neuroni cerebrali con la funzione di bloccare la malattia dell'Alzheimer.

Quando accadono, la notizia dei miracoli della scienza rimbombano di bocca in bocca, trascinati nell'informazione regalataci dai numerosi media che ne annunciano la scoperta. È quello che sta accadendo oggi, facendo presagire una grande speranza indirizzata a una possibile futura cura, in grado di bloccare il morbo di Alzheimer nella prima fase della sua aggressione. Se la notizia di questa scoperta avrà il suo sperato esito positivo negli studi dedicatigli, la scienza potrebbe regalarci una grande vittoria rivolta a debellare dalla faccia della Terra, questa tremenda malattia degenerativa e altamente invalidante, che colpisce il Sistema Nervoso Centrale in età presenile.

Alzheimer, cose da sapere
L'Alzheimer è conosciuta come una delle patologie più diffuse, in grado di distruggere in modo irreversibile le capacità cognitive di ogni essere umano. I primi sintomi che ne evidenziano la presenza sono: difficoltà nell'esprimere parola, trovare  oggetti in luoghi non abituali, non identificare luoghi e ambienti comuni, perdita dei ricordi, nervosismo, depressione, diffidenza verso il prossimo, irascibilità, ecc. Nel tempo i miracoli della scienza sono progrediti fino a portare alla scoperta di sistemi diagnostici in grado di rivelare la malattia. Di questi è conosciuta la PET (Positron Emission Tomography) utile per misurare in seguito alla sua percentuale, la presenza dell'Alzheimer nei soggetti colpiti. Per riuscire a diagnosticare in tempo la malattia vi sono anche la Risonanza magnetica funzionale, la Magnetoencefalografia, la Spettroscopia funzionale nel vicino infrarosso, la SPECT e l'Elettroencefalogramma, tutti utili per misurare i cambiamenti nel flusso ematico locale, legati a scompensi dell'attività cellulare.


Alzheimer, ultimi miracoli della scienza
La scoperta è stata fatta dai ricercatori della EBRI, istituto di ricerca fondato dalla senatrice premio nobel per la medicina, Rita Levi Montalcini, e regala oggi una speranza, a chi 'sorteggiato' dal destino nel subire gli effetti devastanti del morbo di Alzheimer. La rivelazione è legata a una molecola denominata "Anticorpo A13", capace di rigenerare nuovi neuroni in sostituzione di quelli difettosi che annunciano la comparsa precoce della malattia. Lo studio, coordinato dai ricercatori italiani della EBRI, Giovanni Meli, Antonino Cattaneo e Raffaella Scardigli, pubblicato sul "Cell Death and Differentiation", è stato eseguito su topi che presentavano un accumulo di sostanze 'A-Beta oligomeri' nelle cellule staminali del cervello, scoprendo che la molecola A13, anticorpo in grado di neutralizzarli, permette la rinascita di nuovi neuroni interrompendo l'avanzata del morbo di Alzheimer. La ricerca è ancora oggi nelle prime fasi dello studio, e come spiegato dai ricercatori della Fondazione EBRI che la detengono, in collaborazione con il CNR, Il Dipartimento di Biologia dell'Università di Roma Tre e la Scuola Normale Superiore, serviranno altri 10 anni per cantare vittoria e inserirla in quelli definiti, i miracoli della scienza.  

mercoledì 13 novembre 2019

Spermocalypse, è davvero la fine della fertilità maschile?

Fine della fertilità maschile - scrivisullapaginadeituoisogni.blogspot.com
Si continua a parlare di calo demografico e le nascite registrate sono sempre meno. Ma davvero è arrivata la fine della fertilità maschile e la temuta "Spermocalypse"?
L'Italia ha visto nel 2018 la nascita di 439.747 bambini e questi dati registrati dall'Istat (Istituto Nazionale di Statistica), hanno dimostrato una diminuzione di ben 136.932 procreazioni, a partire dal 2008. Ciò significa che nell'arco di 10 anni, la natalità nel Bel Paese è diminuita di circa il 25%, facendo pensare alla fertilità maschile giunta alla fase inarrestabile della "Spermocalypse".

Spermocalypse, perché?
La registrazione Istat data dagli eventi analizzati nel 2018, ha visto il minimo storico della decrescita demografica, collegata a molteplici fattori come la crisi economica e la mancanza di stabilità sociale. All'ultimo congresso nazionale, "Natura, ambiente, alimentazione, uomo", gli esperti della Società Italiana di Andrologia hanno evidenziato fattori di natura medico-sanitaria, influenzanti il calo demografico che ha portato all'era "Spermocalypse". Vediamo quali.

Cosa influenza la fertilità maschile
Ftalati nei cibi, cattiva alimentazione, sedentarietà, diabete mellito, fumo, pesticidi, idrocarburi, microplastiche, esposizione a inquinanti, stress, perfino i cambiamenti climatici sono da attribuirsi, individuati dagli esperti, fattori della diminuita fertilità maschile, oltreoceano conosciuta come "Spermocalypse". Gli autori dello studio portato avanti da Università e Istituti di Ricerca americani, hanno riunito i dati pubblicati tra il 1973 e il 2003, per un totale di 2800 responsi riguardanti oltre 42mila uomini. 

Allarme Spermocalypse
Ciò che è emerso è allarmante in quanto la conta spermatica dei maschi occidentali (Europa, America del Nord e Oceania), ha registrato un calo del 60% negli ultimi 3 anni, evidenziando che un italiano su 10, rispetto a 40anni fa, è ormai sterile. Alle cause che portano la mancata fertilità maschile, sono da aggiungersi il riscaldamento globale, colpevole in molte specie animali di dimezzarne la fertilità. Questo perché l'apparato riproduttivo maschile e gli spermatozoi, sono molto sensibili al caldo e gli effetti negativi sono tramandati alla prole generata. Ritornare alla natura è l'unica soluzione che potrebbe evitare l'estinzione della specie, ma davvero l'uomo sarà in grado di affrontare la sfida?
co-autore Antonella Caterisano
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venerdì 8 novembre 2019

Alzheimer, il gene appena scoperto è una speranza per la cura

Alzheimer, la speranza in un gene - scrivisullapaginadeituoisogni.blogspot.com
Cos'è l'Alzheimer? Sono in tanti a non saperlo ma i suoi sintomi sono evidenti. Chi ne è colpito dimentica inizialmente le cose più semplici: le chiavi di casa, la caffettiera sul fuoco, gli appuntamenti dal dottore e poi, all'improvviso i familiari, gli amici, fino alle persone più care che diventano estranei. La necessità di una continua assistenza, anche per le attività più elementari quali, lavarsi, vestirsi o cucinare, diventa quindi essenziale; ma sappiamo che speranza ha oggi la scienza di combattere il morbo di Alzheimer?

Morbo di Alzheimer, cosa si sa
L'Alzheimer è una demenza degenerativa invalidante che colpisce in età presenile, toccando circa il 5% delle persone alla soglia dei 65 anni. La malattia prende nome dal neurologo-psichiatra tedesco Alois Alzheimer, che per la prima volta, nel 1907, riuscì a descrivere i sintomi e gli aspetti neuropatologici del morbo, dovuti ad agglomerati, placche amiloidi e fasci di fibre aggrovigliate nel cervello. I pazienti affetti da Alzheimer perdono le cellule nervose che fanno funzionare la memoria e le funzioni cognitive.

Alzheimer, dalla demenza alla morte
Il decorso del morbo di Alzheimer è lento e in media, dalla diagnosi, i pazienti hanno dai tre ai nove anni di vita. La scienza è da tempo alla ricerca di una cura che rallenti o cancelli definitivamente questo morbo e forse oggi, la comunicazione di una recente scoperta scientifica, potrebbe porvi rimedio. Vediamo come. In Colombia è molto diffusa una mutazione genetica "E280A", responsabile della predisposizione alla malattia di Alzheimer che porterebbe i suoi abitanti ad ammalarsi verso i 40anni. 

Un gene per curare l'Alzheimer
Un gene ha coinvolto in uno studio del team, composto da Yakeel Quiroz del Massachusetts General Hospital e dal dr. Joseph Arboleda-Velasquez, della Harvard Medical School di Boston, 6000 colombiani ad alto rischio portatori della mutazione. Solo una colombiana ha sviluppato i sintomi dell'Alzheimer dopo i 70anni, grazie alla mutazione "APOE3ch" scoperta nel suo DNA, che l'ha protetta dalla neurodegenerazione responsabile del morbo. Il caso, dichiara Quiroz, "Apre la porta a nuovi trattamenti che, piuttosto che agire sulla causa della malattia, conferiscono resistenza allo sviluppo della demenza presenile". "Il processo molecolare è in grado di frenare la malattia impedendo l'accumulo di ammassi neurofibrillari, anche in presenza di depositi significativi di placche beta-amiloide. Se confermato, comunica Michele Vendruscolo, dell'Università di Cambridge, sarà rilevante traslare questo meccanismo nella farmacologia.
Co-autore Antonella Caterisano

sabato 2 novembre 2019

Tubercolosi, un vaccino sperimentale contro la malattia infettiva

Tubercolosi, un vaccino contro la malattia - scrivisullapaginadeituoisogni.blogspot.com
Cosa si sa della tubercolosi e di quello che si sta facendo oggi per combattere, con un vaccino, la malattia infettiva che ogni anno colpisce milioni di persone.
La tubercolosi è una malattia infettiva a carico dei polmoni, ogni anno interessa 10milioni di esseri umani, e solo nel 2018 è stata notificata dall' OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità), una quantità di vittime pari a 1,5 milioni di persone. Il responsabile di questa malattia è il "Mycrobacterium Tubercolosis", detto anche "Bacillo di Koch", trasmissibile attraverso goccioline di saliva emesse con la tosse, che nel 90% dei casi rimane latente in chi contagiato, senza mai svilupparne i sintomi.

Tubercolosi e sperimentazione
Da quello che si sa, nonostante esista già un vaccino contro la tubercolosi, chiamato BCG (Bacillo di Calmette Guérin), esso risulterebbe efficace contro la cura della malattia, solo nei bambini al disotto dei 5 anni e non si hanno avuti finora trattamenti efficaci negli adulti. Una speranza è comunicata dalle pagine del New England Journal of Medicine, rivista dedicata alla ricerca dove è apparso uno studio sperimentale su un vaccino dell'azienda farmaceutica GSK.

Contro la malattia della tubercolosi
I risultati della ricerca portata avanti dagli scienziati, mirata allo studio di un vaccino chiamato M72/AS01E, per combattere la malattia della tubercolosi, si è dimostrato efficace nel 50% dei casi, prevenendo l'infezione quando il batterio ancora latente. Per valutarne l'efficacia, le persone 'trattate' sono state divise in due gruppi e solo al primo, in maniera anonima, sono state somministrate due dosi del vaccino e al secondo un placebo. In seguito al monitoraggio dell'esperimento, durato tre anni, si è constatato che il gruppo alla quale era stato somministrato il vaccino, ha avuto, rispetto al gruppo cui era stato dato il placebo, il 50% di probabilità in meno di ammalarsi di tubercolosi.

Un vaccino combatterà la tubercolosi
Malgrado i ricercatori ammettano che un'efficacia del 50% sia poca per un vaccino, considerando la diffusione della malattia e la scarsità di altri trattamenti, è comunque un fattore promettente in difesa di un gran numero di persone, in quanto, spiega Barry Bloom della Harvard School of Public Health, "Questo è il primo vaccino che ha mostrato protezione in individui infetti". Andranno condotti studi più ampi in popolazioni diverse prima di ottenere la licenza alla commercializzazione, ma se i dati ottenuti in questa prima fase saranno confermati e la sperimentazione procederà come previsto, potrebbe nascere, a partire dal 2028, un nuovo vaccino contro la malattia della tubercolosi.
co-autore Antonella Caterisano